Fondo salva-casa: anche i parenti possono intervenire in caso di inadempienza?
Una norma che protegge la prima casa dalle azioni delle banche . Oggi anche i parenti e gli affini possono contribuire a salvare il debitore.
La legge 157/2019, che ha convertito il decreto fiscale 120 /2019, è entrata in vigore il giorno di Natale dello scorso anno. Una tra le misure più importanti contenute in questo testo è indubbiamente la possibilità, in presenza di particolari condizioni, di consentire agli inadempienti di rinegoziare il proprio mutuo o di chiedere un ulteriore prestito, surrogandolo all’interno della garanzia ipotecaria già esistente, ad un istituto terzo, per evitare l’esecuzione forzata dall’abitazione principale. Tutto ciò si concretizza grazie all’esistenza del fondo di garanzia prima casa il quale si pone, come dice il nome stesso, a garanzia per la parte di debito restante. Ad istituire tale fondo è stato il MEF che specifica come la copertura sia relativa al massimo al 50% del capitale. Inoltre, la norma legifera la possibilità per i parenti gli affini fino al terzo grado di intervenire a sostegno dei debitori.
Cerchiamo di analizzare nel dettaglio la normativa:
- Qual è il funzionamento del fondo Salva Casa
- Come funziona l’intervento di parenti e affini
- Le modalità di retrocessione della proprietà acquisita da parenti e affini
- Come fare domanda
Qual è il funzionamento del fondo Salva Casa
Il fondo salva casa , approvato nella legge di bilancio 2020, è stato fortemente voluto dall’esponente del Movimento 5 Stelle Daniele Pesco, oggi Presidente della Commissione di Bilancio. L’obiettivo principale di questo provvedimento è quello di andare incontro ai mutuatari insolventi che, vertendo in gravi difficoltà economiche, rischiano in maniera concreta di perdere la propria abitazione. Per beneficiare di questa agevolazione la legge impone una serie di condizioni che devono esistere contemporaneamente. Innanzitutto, il debitore deve essere qualificabile come un consumatore ordinario, a differenza del creditore che deve essere un soggetto che esercita un’attività bancaria. Il credito in oggetto deve derivare da un mutuo stipulato con garanzia ipotecaria di primo grado sostanziale, erogato unicamente per l’acquisto di un immobile con funzione di abitazione principale, altrimenti detta prima casa. Per accedere a tale fondo, il debitore deve avere già rimborsato almeno 10% del capitale. Infatti, sotto questa soglia il diritto di proprietà resta è considerato carente poiché il contratto in essere sussiste da troppo poco tempo. Sull’immobile oggetto dell’ipoteca deve prendere un esecuzione immobiliare ed un pignoramento che deve essere stato notificato nel lasso di tempo che va dal 1 gennaio 2010 al 30 giugno 2019. Sulla casa non deve gravare altro debito, ovvero non devono presentarsi altri creditori che non siano la banca erogante il mutuo. Qualora dovessero esserci altri creditori, quest’ultimi devono rinunciare formalmente al credito prima della presentazione dell’istanza. l’ultima condizione essenziale è che la quota da rinegoziare o rifinanziare non deve superare i 250.000 euro.
Come funziona l’intervento di parenti e affini
Questa nuova legge punta davvero a fare il possibile per far sì che il mutuatario insolvente possa rinegoziare o rifinanziare il suo debito, evitando così di vedersi portare via la casa. Proprio per questo motivo, la norma consente anche ai parenti e agli affini, fino al terzo grado, di intervenire a favore del debitore. Le gravi condizioni economiche potrebbero infatti ostacolare, o semplicemente mettere in grande difficoltà, il mutuatario, non permettendogli di sostenere gli oneri relativi alla procedura. La legge specifica proprio che, nelle situazioni in cui il debitore non riesce ad ottenere la rinegoziazione del credito, tantomeno il rifinanziamento, il mutuo può essere erogato nei confronti di un suo parente o affine, in grado di fornire garanzie più solide. Restano comunque salve le condizioni sopra elencate per applicare tale strumento. Quando il mutuo è concesso a un parente o un affine, è necessario che un giudice emetta un Decreto di Trasferimento della proprietà dell’immobile in favore del nuovo debitore. Come strumento di tutela però, viene concessa al debitore originario la possibilità di continuare a godere pienamente della casa per i cinque anni successivi alla data di trasferimento. La concessione di questo diritto di abitazione viene legalmente trascritto a margine dell’ ipoteca, rendendo così ufficiale il diritto reale di godimento. Inoltre, è stato precisato che il diritto di occupazione dell’immobile da parte del debitore originario può decadere se costui non mantiene la residenza all’interno dell’immobile stesso nei 5 anni prescritti.
Le modalità di retrocessione della proprietà acquisita da parenti e affini
I 5 anni sono un termine molto importante perché corrispondono anche alla data entro la quale il debitore originario può chiedere la retrocessione della proprietà dell’ immobile. Ovviamente, prima di tale richiesta, deve rimborsare interamente il parente o affine, che si è accollato il suo debito, degli importi da quest’ ultimo erogati in favore dell’istituto di credito che ha emesso il mutuo. a patto che ci sia il consenso dell’Istituto finanziatore, il debitore può quindi riaccollarsi il mutuo residuo e liberare il parente, o l’affine, fino al terzo grado, da ogni vincolo. Per agevolare ulteriormente le persone che, a causa di sfavorevoli situazioni economiche, si trovano a dover utilizzare questo strumento, la norma impone una misura fissa di 200 euro come corrispettivo dovuto per l’atto di trasferimento in sede giudiziale dell’immobile e l’eventuale successivo ritrasferimento al debitore dello stesso immobile.
Come fare domanda
Il debitore deve presentare l’istanza entro e non oltre il termine perentorio del 31 dicembre 2021. La dilazione del mutuo non potrà essere superiore a 30 anni a decorrere dalla data della sottoscrizione del nuovo accordo. La durata del finanziamento sommata all’età del debitore non deve superare il n. 80. si ricorda che il Fondo Salva Casa provvederà a garantire esclusivamente il 50% del capitale oggetto della rinegoziazione ma non la quota degli interessi che resteranno interamente a carico del debitore. Il parente o l’affine può intervenire quindi come aiuto di ultimo istanza per soddisfare le condizioni generali dell’istituto.
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