Case d’autore: la “Casa Cupola” (Binishell) di Antonioni in Costa Paradiso
Mare, spiagge selvagge, amori, amicizie e architettura sperimentale. Curiosi di conoscere i segreti, le vicende amorose, gli incontri tra cineasti di fama mondiale avvenuti in questa casa magica? Per la nostra rubrica “Case d’autore” proponiamo la storia di questo incontro felice tra artisti immersi in uno scenario selvaggio e mozzafiato. Siamo in Costa Paradiso, in Sardegna, nei pressi di alcune delle spiagge immortalate dal maestro del cinema italiano e mondiale Michelangelo Antonioni e quella che vi presentiamo è la Casa Cupola. In questo luogo nel corso di alcune estati il regista ferrarese ha ospitato scrittori, attori, artisti da tutta Europa e, per questo, forse, questo luogo conserva ancora la memoria di questi incontri. Immaginare Monica Vitti che scende le scale del soggiorno in un pigro pomeriggio d’estate, mentre guarda attraverso la finestra che si affaccia sul mare aperto è quella che viene definita un’esperienza unica.
Il risultato è straordinario, un nido d’amore di Antonioni-Vitti nel cuore della Sardegna più selvaggia che si sublima nella cupola Dante Bini La BiniShell oggi attrae cinefili, giornalisti e curiosi da tutto il mondo, come testimoniano le numerose fotografie, articoli e petizioni per il recupero del luogo.
Le origini della Cupola di Dante Bini
Siamo a metà degli anni Sessanta (1964), il regista Michelangelo Antonioni insieme all’attrice Monica Vitti si trova presso l’arcipelago di La Maddalena per girare una scena del film Deserto Rosso, sulla famosa spiaggia dell’Isola di Budelli. In questa occasione Antonioni incontra l’imprenditore e investitore Giorgio Tizzoni e stringe con esso una solida amicizia. Nello stesso periodo Tizzoni decide di investire nell’acquisto di un terreno sulla Costa Paradiso, luogo chiamato dai pastori locali terra niedda, ovvero “terra nera, perché considerata arida e inutile”, racconta Giulia Chianese, attrice che partecipa a un documentario sul famoso regista italiano.
Tizzoni chiede consiglio al suo nuovo amico e, dopo aver ricevuto il suo appoggio, acquista l’area e decide di donargliene un pezzo. La coppia Vitti-Antonioni progetta quindi una casa che sia uno scrigno sepolto dalla fitta vegetazione gallurese, e l’incarico viene affidato a Dante Bini. Tra il 1968 e il 1971 Bini avrà modo di lavorare a stretto contatto con Antonioni per la costruzione della villa e si crea un rapporto unico tra architetto e committente. Studiano insieme il progetto per questa cupola che sembra emergere dalla terra e che riprende il colore rossastro delle sfumature delle rocce della costa, le cui polveri sono utilizzate per realizzare l’intonaco dell’edificio.
Binishell, l’intuizione che fece la storia
Bini ha dimostrato con successo la sua tecnica nel 1965 a Crespellano, in Italia, con una struttura a guscio semisferico in cemento armato di 12 metri di diametro. Incuriosito ma incredulo, un eminente ingegnere statunitense e professore alla Columbia University, Mario Salvadori, ha invitato Bini a dimostrare il metodo nel campus di New York City. Nel 1967, in poche ore, un pubblico di 700 persone ha assistito al completamento di una cupola di 15 metri. Come osserva Will McLean nell’introduzione al recente libro di Bini Building with Air, “questa esperienza, e la successiva esposizione alla stampa mondiale, hanno lanciato la carriera unica di Dante Bini come architetto e inventore di sistemi edilizi”. Il sistema automatizzato brevettato è stato concesso in licenza in tutto il mondo con la cupola Dante Bini rapidamente riprodotta in Brasile, Cuba, Arabia Saudita e Regno Unito.
Antonioni e Bini: incontro tra due menti geniali
Da un’espressione fugace sul volto di un attore al più umile degli oggetti di scena, il grande regista italiano Michelangelo Antonioni era abituato a controllare ogni elemento del suo lavoro. E si aspettava di fare lo stesso quando progettava una casa per le vacanze per sé e per la sua amante, l’attrice Monica Vitti, alla fine degli anni ’60.
“Costruiscimi una casa che odora di questo sassolino” è stata l’unica istruzione che Antonioni ha dato a Bini, secondo un’intervista del 2015 con l’architetto pubblicata sull’Architectural Association School of Architecture Journal. I due furono introdotti da Vitti, che conosceva Bini perché appartenevano allo stesso sci club. Divennero subito amici e tali sarebbero rimasti dopo il completamento del progetto, anche se Antonioni non lo pagò mai per il progetto, promettendo invece visibilità.
Il regista ha voluto definire ogni dettaglio della casa, persino le scale. Scelse la pietra di una cava locale per i gradini e ne pianificò il percorso in modo da poter osservare Vitti dalla loro camera da letto mentre le scendeva a piedi nudi.
Lui e Vitti trascorsero diverse estati nella cupola. Antonioni vi era così legato che continuò ad andarci molto tempo dopo la fine della loro relazione. Alla fine degli anni ’80, però, la Costa Paradiso, un tempo isolata, era diventata una vivace località turistica, rendendola troppo rumorosa e affollata per il solitario Antonioni, che aveva inserito una clausola di riservatezza nel contratto di Bini, vietandogli di descrivere la casa pubblicamente o di pubblicare fotografie di essa.
La tecnologia Binishell
Durante la metà degli anni ’60, il regista emiliano era rimasto incuriosito dagli sforzi di Bini per sviluppare una tecnica rapida per erigere cupole da sottili gusci di cemento, culminata in un test di successo alla Columbia University di New York nel 1967. Convinto che la risposta architettonica più elegante alla bellezza naturale della Costa Paradiso fosse una forma pura come quella di Bini, Antonioni gli commissionò di costruirne una sul suo appezzamento roccioso.
Fu una scelta rischiosa. Alla fine Bini avrebbe costruito millecinquecento cupole Binishell come abitazioni, fabbriche e scuole in ventitré Paesi, ma all’epoca stava ancora sperimentando. Costa Paradiso, inoltre, non era il luogo più facile per costruire una Binishell, soprattutto una complessa come quella di Antonioni. Non solo sarebbe stato difficile spedire i materiali in un luogo così remoto, ma il sito non aveva nemmeno l’alimentazione elettrica.
Bini ha esaminato il processo di costruzione per assicurarsi che la casa soddisfacesse le aspettative di Antonioni. La cupola emergeva con finestre curve concave e convesse che offrivano viste panoramiche sul Mediterraneo e pareti automatizzate di vetri a specchio che si aprivano per riempire le stanze col profumo del mare.
Gli interni della Cupola Bini
Avvicinandosi alla casa si ha l’impressione di aver scoperto uno strano osservatorio. Il cemento dell’imponente edificio è fuso con l’aggregato di granito locale per adattarsi al paesaggio circostante. Una passerella sospesa si allunga verso l’ingresso del patio al piano superiore. Sotto c’è l’atrio principale. L’esterno è costellato da finestre irregolari.
In contrasto con l’uniformità della facciata, tutte le forme interne sono organiche. Un ampio spazio centrale funge da zona giorno a pianta aperta. Lo sguardo è subito attratto da una parete di vetro e da una porta che immette in un atrio con un giardinetto; guardando in alto c’è un oculo, da cui poter ammirare le stelle in notturna. Al tempo di Vitti e Antonioni un grande divano bianco fiancheggiava la parete curva. Tutti i mobili erano bianchi con linee pulite, coerenti con l’etica del design dell’era spaziale dell’intero progetto. La scala sospesa è realizzata in granito rosa, Antonioni progettò quei gradini in modo da poter ammirare Monica sgattaiolare nella luce del mattino, racconta Bini.
L’abbandono e le condizioni attuali della Cupola Bini
Prima di terminare la costruzione, l’amore tra Vitti e Antonioni finì, ed è probabilmente questo uno dei motivi per cui la Cupola venne abbandonata e ancora oggi lasciata in preda all’incuria. Delimitata dalle autorità locali, la casa è totalmente usurata da atti vandalici e agenti atmosferici, mentre continua ad essere visitata, fotografata e pubblicata da appassionati di cinema e architettura. Questa è la condizione attuale del capolavoro di Bini, spesso vittima di ladri e abusivi, mentre la Cupoletta, la sua piccola riproduzione realizzata nella porta accanto, commissionata dal pittore Sergio Vacchi, marito di Letizia Balboni, l’ex moglie di Antonioni, è stata ristrutturata dai nuovi proprietari e gode di rinnovata bellezza.
È un omaggio all’ingegno di Bini che la casa sia sopravvissuta a così tanti anni di abbandono, anche se potrebbe non durare ancora a lungo. Non esiste un ordine di conservazione architettonica a tutela, né è probabile che venga salvata dalla sua romantica associazione con Antonioni e Vitti. La sua clausola di riservatezza si è rivelata così efficace che pochi locali sanno dell’esistenza della cupola. Quando lo storico dell’architettura Lucio Fontana ha visitato Costa Paradiso e ha chiesto indicazioni per “la villa di Antonioni”, gli è stato chiesto se si riferisse alla casa di villeggiatura di una celebrità locale meno enigmatica, il fuoriclasse del calcio Giancarlo Antognoni.
Una coltre di nostalgia sulla bolla di Bini
Dopo aver visto una foto della casa nel suo avanzato stato di rovina, nel corso di un’intervista a Bini scesero lacrime di dispiacere. La coppia, forse, avrebbe preferito e scelto apposta questa sorte per il loro nido d’amore, quasi come una metafora della loro relazione ormai giunta al tramonto. La rovina dell’edificio è una testimonianza dell’inesorabile passaggio del tempo sulle vicende umane, che non risparmia la bellezza e la genialità. È un tema spesso presente nei film del regista emiliano, che ha una rilevanza particolare oggi, sulla scia della pandemia.
Foto in copertina: courtesy Diana Lanciotti
Se vuoi condividere con noi storie, ispirazioni e/o collaborare scrivici a comunicazione@quimmo.it